martedì 18 agosto 2015

Codice della Strada a “senso unico”: vale solo se ad esser sanzionati sono gli altri



Ogni attento osservatore sa che dietro ogni cosa, anche la più banale, si nasconde una metafora in scala ridotta della vita. Persino le strade incandescenti sotto il sole d’agosto, le automobili piene zeppe di passeggeri e, soprattutto, i passeggeri stessi, offrono spunti di riflessione degni di un manuale socio-antropologico.
Non a tutti sarà capitato di provare a mettere ordine nell’intricato serpentone anche detto comunemente “traffico”, che più spesso assume i caratteri di un detestabile ingorgo, quando l’irrazionalità prevale sopra i singoli componenti della massa.
Fate un lavoro d’astrazione. Immaginate per un attimo di essere un agente di polizia municipale, più familiarmente detto “vigile urbano”.
Io non ho bisogno di immaginarlo. Io l’ho fatto, e ancora lo sto facendo. Le stagioni si ripetono, anno dopo anno, ma la sostanza non cambia.
Ognuno nel suo piccolo vorrebbe essere padrone e dettar legge. “Scrivi, multa, sanziona! Ma guarda quello cosa sta facendo, togligli i punti della patente!”.
Ognuno è arbitro inflessibile, quando a sbagliare sono gli altri. Ma quando tocca a lui in prima persona?
A quel punto, il “vigile urbano” diventa l’essere più detestabile, una spudorata carogna senza ritegno, troppo inflessibile, che sta a guardare il pelo nell’uovo.
Le richieste di rigidità fatte quando a sbagliare era qualcun altro si trasformano in suppliche a diventare fancazzisti e lassisti. E le formule utilizzate sono infinite. “Girati dall’altra parte, fai finta di nulla”. “Eh, ma che palloso! C’ero solo un minuto!”. “Dai, me la puoi togliere?”, alludendo alla multa. Quando non volano offese gratuite urlate o soffocate ai danni del vigile, che poi non è che ci provi gusto a “perseguitare” gli altri se non fosse che quel lavoro, qualcuno deve pur farlo. Ed è anche utile, quando qualcuno ha il passo carrabile occupato e non riesce ad entrare nel proprio garage, o qualcuno ha parcheggiato nello stallo riservato agli invalidi, o ci buttano la spazzatura nel giardino o si sta subendo qualche altro torto. Solo allora gli viene riconosciuta una qualche utilità.
Ma è così. Noi italiani siamo così. Pochi si distinguono dalla massa. In pochi pensano che le norme vadano rispettate a prescindere da chi sia il trasgressore. In generale siamo un popolo di pressapochisti, talvolta buonisti e talaltra colpevolisti. Se sbaglia uno del nostro branco, tutto è concesso. Se sbaglia un outsider, si chiama a gran voce il boia perché compia il suo impietoso dovere.
Dobbiamo scrollarci di dosso questo modo di agire che ci è rimasto appiccicato addosso ormai non si sa più da quanto tempo. Applichiamo il Codice della Strada alla vita, che poi altro non è che una strada forse anche un po’ più incasinata di quella d’asfalto che ci riporta, ogni sera, a casa. Prendiamo le nostre simboliche “multe della vita” senza sbraitare troppo. Impegniamoci di più. E rendiamolo più civile e umano, il viaggio dell’esistenza!



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