sabato 30 maggio 2015

Mario Piccolino e la libertà di parola




Ieri pomeriggio qualcuno ha ucciso un uomo.

Si chiamava Mario Piccolino. Di professione aveva sempre fatto l'avvocato, ma a un certo punto la scrittura ha preso il sopravvento nella sua vita e  ha sostituito l'avvocatura con il blogging. 
Perché la scrittura è così. Ti entra dentro e non te ne liberi più. E' come le onde del mare. A volte restituisce, altre volte si porta via qualcosa.

Mario Piccolino era pienamente cosciente del rischio a cui andava incontro esercitando la libertà di parola. L'avevano già colpito in faccia con un cric, qualche anno fa. Riceveva continuamente minacce, ma niente l'ha fermato, fino a ieri. Non la paura della morte. Solo la morte stessa.

Piccolino nel suo blog ha parlato di cose scomode, come la legalità, che per alcuni è un inutile orpello, per altri è vita. 

Si può scegliere di vivere con la testa sotto la sabbia, come gli struzzi, o dentro una tana scavata nel terreno, come i conigli.
O si può scegliere di essere ciò che si è e urlare al mondo la propria umanità e il proprio senso di giustizia, perché la libertà di parola non è un concetto da bistrattare e da usare a seconda del proprio comodo. 
Eppure così sembra di questi tempi. 

Questa è la libertà di parola ai giorni nostri.

Osannata e sbandierata all'indomani della strage di Charlie Hebdo.

Negata quando intralcia i poteri forti.

Bisbigliata quando qualcosa dà fastidio ma si temono i poteri di cui sopra.

Contrabbandata quando ti dicono che proprio è meglio star zitti.

Adorata quando va a nostro favore.

Odiata quando va contro i nostri interessi.

Perseguitata quando è scomoda. UCCISA quando, nonostante la paura, non si tace!




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